lunedì 2 luglio 2018

Una scarpa nel buio


Quella che segue è una storia vera.

Erano lì, uno di fronte all’altra, in un parco, all’imbrunire, seduti in mezzo a due querce secolari.

Alla loro sinistra, una ringhiera, oltre la quale s’intravedevano gli ultimi due piani di un palazzo anni ’60, o forse anni’70, non ristrutturato ma neanche da demolire, di un pallido color giallo. Lo stabile partiva da qualche metro più in basso, al di là della ringhiera, e si ergeva per un totale di quattro o cinque piani.

Tutti e due erano a gambe incrociate e si stavano baciando. Tra un gioco e uno scherzo, all’improvviso lui le tolse la scarpa e la lanciò con la mano sinistra verso il palazzo, fino a far toccare la ringhiera alla scarpa, purtroppo, fino a fargliela superare.

La scarpa, insomma, volò giù.

Giù, lì sotto. Finita la magia. Finito il bacio. Finita la posizione da innamorati. Oramai lei era già in piedi (anzi, su un piede) che urlava vendetta. Chissà perché, erano entrambi convinti che lì sotto ci passasse un canale, o un piccolo corso d’acqua.

Inutili le richieste di perdono: bisognava recuperare la scarpa.

Avvicinatosi alla ringhiera, Alex vide che sotto, a lato del palazzo (che distava circa 10 metri dal muro) vi era un campetto da calcio, del tipo di quelli da oratorio. Forse quel palazzo era una vecchia struttura ricreativa, o una casa di cura. Oppure, una via di mezzo. Comunque, non si vedeva nessuno né dentro, né fuori, né nel campetto.

Ovvio che Alex cercò un modo per scendere, ma invano.

L’unico modo per arrivare al campetto e recuperare l’oggetto caduto era entrare nel palazzo.

Non fu così difficile: attraversata una passerella, bastò spingere la porta. Si trovò in un atrio in penombra, dove riuscì a scorgere un’altra porta. La spinse notando che era di compensato leggero.

Alex si trovò in una stanza, in penombra. Non riusciva a vedere bene, notò tuttavia il pavimento realizzato da mattonelle che si usavano almeno 50 anni prima. Non trovò l’interruttore della luce ma provò lo stesso ad attraversare la stanza. Qualcosa su quattro zampe, un cagnolino probabilmente, si fece incontro, scampanando un campanellino di quelli usati dai gattini, o dai cani di piccola taglia. Non riuscì a vederlo bene nell’attraversare di corsa la stanza, attratto da una porta in fondo, aperta la quale si trovò delle scale. Tentò di lasciare il cagnolino dietro di lui, chiudendo velocemente la porta e ci riuscì. Appena scese di un piano si trovò un’altra porta, diversa da quella di sopra. Quelle sopra erano infatti con il telaio leggero, questa era un po’ più pesante e fece più fatica ad entrare.

Un po’ più in penombra, attraversò l’altra stanza e verso la fine sentì un miagolio di un gattino. Lasciatosi anche questo alle spalle, uscendo dalla stanza ancora più in penombra della precedente, scese la nuova rampa che si trovò di fronte. A sensazione sarebbero dovuti essere quattro piani, si pentì di non averli contati bene quando ancora poteva vedeva il palazzo dall’alto. Oramai era dentro e capì che effettivamente doveva trattarsi di un istituto, a questo punto ex-istituto, dove comunque qualcuno aveva abbandonato degli animali. Iniziò a sentirsi strano.

Questa nuova porta era in legno pieno, soltanto accostata. Non fu molto sorpreso di entrare in una stanza enorme, simile a quelle dei piani di sopra e di nuovo non trovò l’interruttore della luce. Ma questa volta sentì un respiro e capì che doveva essere qualcuno che stava dormendo. Ai piedi della porta, che dava verso la nova rampa per scendere, urtò qualcosa di morbido e duro allo stesso tempo. Alex capì che doveva trattarsi di un altro cane, infatti emise un latrato, ma oramai aveva lasciato la porta alle spalle e riuscì a chiuderlo nella stanza. Aveva il cuore a 1000, ed era convinto di dover scendere soltanto un altro piano. Si pentì amaramente di essere entrato in quella struttura, un senso di oppressione oramai lo stava avvolgendo e qualche gocciolina di sudore freddo iniziava a fare capolino dalle tempie.

Scese un altro piano e dovette spingere con forza la porta, in pesante legno, che non era perfettamente allineata, quindi non riuscì a richiuderla dietro di sé. Si domandò quale tipo di animale vi fosse in quella nuova stanza, attraversandola in punta di piedi.

La paura d’incontrare qualche cane pericoloso era molto viva.

Sentì tuttavia un altro miagolio, questa volta di un gatto decisamente maturo. Uscì dalla stanza oramai quasi totalmente buia e si ritrovò in un pianerottolo che non aveva più scale, ma un’altra porta in ferro che dovette aprire con una spallata.

Completamente spaesato, si ritrovò in un androne che evidentemente portava fino al campetto.

Alex era finalmente all’aperto, aveva avanti a sé il muro e cercò la ringhiera alzando gli occhi, sperando di trovarvi Betty. Con immensa delusione si accorse che non vi era nessuno.

Si avviò verso il campetto e vide che era recintato e chiuso da un cancello. oltretutto, dietro al cancello dormiva sornione un cane di tipo PitBull o qualcosa del genere. Bianco e marrone, era sdraiato e aveva la schiena poggiata alla rete.

Stanco, impaurito, assalito da strani dubbi, Alex decise di non rischiare la vita e scelse di tornare indietro.

Richiuse la porta dell’androne ed entrò nella porta di legno pesante che lo introdusse nella grande stanza del piano terra. Provò, dimenticando che non vi erano interruttori, a tastare il lato della porta e questa volta ne trovò uno.

Accese la luce contro ogni speranza e vide questo locale, unico, con un vecchio divano leggermente di lato, verso la finestra chiusa, con le tapparelle quasi totalmente abbassate. Era una stanza vetusta, ma non completamente abbandonata.

Sul divano c’era un gatto che stava dormendo. Alex attraversò la stanza con tranquillità ma, all’atto di chiudere la porta, si accorse che il gatto era con lui, in mezzo ai suoi piedi.

Non se ne curò troppo, pensando che sarebbe rimasto nel pianerottolo. Invece salì con lui e s’infilò nella stanza. Anche qui Alex trovò l’interruttore, riflettendo che, probabilmente, erano tutti posizionati vicino alla porta di discesa (ma perché?). Inutile dire che il cane questa volta si svegliò, abbaiando con fare minaccioso e fissandogli la gamba destra. Ma qualcosa non quadrava: il gatto era in mezzo alle sue gambe, il cane smise di abbaiare. Alex iniziò a muoversi, pianissimo, ed entrambi i quadrupedi lo stavano seguendo…a modo loro. Infatti, con immenso stupore, si accorse che il gatto non aveva orecchie né coda e il cane era tripode. Non molto contento della cosa, anzi, abbastanza a disagio, si avvicinò alla porta per aprirla e si accorse che effettivamente non erano presenti interruttori.

Aprendola non riuscì a trattenere dentro i due animali, che lo seguirono pedissequamente.

Tirò un piccolo sospiro di sollievo pensando fosse l’ultimo piano da seguire, ma non era così. Ne restavano ancora due. La porta di medio spessore si aprì e la stanza, anche questa volta prontamente illuminata, si mostrò esattamente uguale alle altre. Con gli animali al seguito, attraversò la stanza non ricordandosi affatto di quale animale avesse avvertito la presenza durante la discesa. Chiuse la porta e si accorse che dietro la spalla destra vi era rimasto aggrappato qualcosa, ma non gli riuscì di scrollarsela di dosso.

Iniziò a correre impaurito e, mentre apriva la porta dell’ultimo piano immaginandosi un pipistrello, con la coda dell’occhio capì che, in realtà, un gattino gli aveva conficcato le unghie nella giacca, subito dietro alla scapola. E si ricordò dello stesso miagolio che stava sentendo adesso.

Ruotando al massimo il collo si accorse che il gattino si stava lamentando all’impazzata, impaurito, e capì che il piccoletto non riusciva ad aprire gli occhi. Proprio non li apriva, come se avesse le palpebre sigillate.

Finalmentè entrò, con tutti e tra gli animali, nell’ultima stanza. Ricordava il campanellino e finalmente vide arrivare il cagnolino zompettante. Ma una cosa fece trasalire Alex dallo stupore, fino a fargli finire l’aria in corpo, e bloccandogli quasi il successivo respiro: il cagnolino con il campanellino aveva un collare rosso ma non aveva la testa.

Al suo posto vi era un moncone cauterizzato. Il cagnolino era grigio e il moncone era di un colore che si faceva sempre più scuro fino alla sommità del collo.

Come faceva ad essere vivo quel cane? Ma dove diavolo era finito? Di chi erano quegli animali così strani? Perché questa angoscia disumana per una scarpa? Corse per tutta la stanza con quanta forza gli restava in corpo, con tutta la banda di animali che oramai non gli si staccava di dosso, con il micino aggrappato alla spalla che miagolava, col cagnolino senza testa che scampanellava, col tripode che zompettava, e col gatto adulto che stava facendo di tutto per farlo cadere…e ci riuscì. Da terra si rialzò come se stesse scacciando degli insetti, aprì la porta leggera e si trovò nell’ingresso, ma non vide la porta di uscita. I 4 poveretti oramai erano con lui perché non era assolutamente riuscito a lasciarli nella stanza. Perché non aveva il telefonino con sé? Perché lo aveva lasciato sulla panchina, probabilmente. Perché non sentiva Betty urlare da fuori?

Bettyyyyy, aiutooooo. Urlò, sperando di non essere sentito da altri se non da Betty. Nessuno rispose. E se fosse successo qualcosa a lei?

Perché c’erano solo muri in quell’atrio? Contro ogni volontà, rientrò nella stanza e notò che era l’unica che aveva un’altra porta. Perché non l’aveva vista prima? Spinse con tutta la forza che aveva in corpo, quasi per distruggerla e si ritrovò finalmente davanti alla porta d’ingresso.

Si fermò un attimo prima di aprirla e si accorse che oramai i cani e i gatti erano con lui.

La mano poggiata sulla porta…iniziando a spingere…la pressione della mano sul legno…gli occhi chiusi…cosa succederà agli animali…dove sarà Betty…avrei potuto provare ad entrare nel campetto? cosa dirà quando mi vedrà tornare senza la sua scarpa?

Quest’ultimo terrificante pensiero bastò per far svegliare Alex, per porre fine al suo incubo.

Betty stava dormendo nel letto insieme a lui, al suo fianco. Svegliati, devo raccontarti un sogno. Lei aveva una certa difficoltà a svegliarsi di soprassalto, tuttavia tentò di ascoltare con una certa attenzione.

Chissà, cosa vorrà significare, disse Betty. Mentre Alex stava tendando di riaddormentarsi con la speranza vana di concludere il sogno, Betty si alzò e andò in sala, dove tra l’altro vi era la cuccia del loro piccolo cane di casa.

Quando lei emise l’urlo…

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