martedì 23 febbraio 2016

Prima parte

In occasione della pubblicazione dell'ebook, posto la prima parte.
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Prima parte
Pronti? Via! Ma…siete davvero pronti?
Oggi ho iniziato le riprese per il video promozionale di “Seconda Giovinezza”. E’ un progetto sociale immenso, un progetto da svariati milioni di euro, volto a superare le barriere tra gli “oversixty” e i giovani. Un’idea che ho rubato a mio padre, ho ampliato e, spero, che qualcuno realizzerà. Insomma, non ho problemi a parlare in pubblico, a presentare progetti ma, soprattutto, a continuare a studiare.
Il dodici novembre 2015 ho conseguito la laurea in ingegneria industriale, indirizzo energetico e nucleare, dopo esattamente tre anni e tre mesi dal primo esame. La laurea (triennale, che molti chiamano mini-laurea e che, all’estero, è Bachelor Degree) mi ha dato alla testa: mi ha inculcato la convinzione che, allora anche io posso studiare! Non ci credo! Sono stato una frana a scuola! Un disastro alle superiori! Ho accumulato assenze per 6 giorni alla settimana! Come faccio adesso ad essere iscritto alla magistrale, a seguire un corso di fluent english, a frequentare lezioni per la qualifica di project manager?
Insomma, come ho fatto io a iscrivermi all’università, sostenere quasi trenta esami in tre anni, conseguire la media del 28 a ingegneria? Non è così semplice, ma se voi aveste la pazienza di seguirmi, io avrei l’umiltà di spiegarvi come ho fatto.
Allora, siete ancora a leggere, quindi avete deciso di seguirmi. Torno alla prima frase: siete pronti? Avete presente il corridore in posizione, sulla linea dello starter? Vi sentite così? Lasciate perdere, qui si va piano. Io no, non sono mai stato pronto. Parlo della scuola. Parlo dei compiti in classe, o delle interrogazioni. La scuola è stata sempre, per me, un problema. La sera prima, poi, lo stomaco si stringeva e la tensione era una vera e propria sofferenza.
Non sono mai stato bravo a scuola, tranne un po’ alle elementari. Ero molto timido, o come si dice oggi “fa fatica a socializzare”. Io, in realtà, sarei voluto tornare da dove ero venuto: dalla campagna di mia nonna con i miei amici.
La nostra maestra era di stampo classico-cattolico: tre preghiere all’ingresso, tre preghiere all’uscita, in piedi, davanti al crocifisso. In prima ero il secondo più bravo”, poi la madre del primo della classe lo trasferì. Ricordo perfettamente quel giorno: le tapparelle socchiuse, il sole che faceva capolino dalla finestra, eravamo ad aprile-maggio: sentii la signora, moglie di un famoso ingegnere civile, pronunciare questa frase:
“E’ una maestra troppo buona, rovinerà mio figlio se non lo porto via da qui”. Ovviamente, aveva ragione.
Nessuna buona notizia è così benevola e nessuna cattiva notizia lo è in pieno: nei quattro anni successivi, fui io il primo, almeno tra i maschi. La maestra si comportava quasi da mamma ed era un piacere tornare a casa, studiare 12-13 minuti e avere il pomeriggio libero…per guardare la televisione o andare (raramente) a pattinare. Vedete, il fatto era che, a causa della scuola, i miei nonni non mi portarono più in campagna. E fu un peccato: loro avevano tutti gli animali da cortile possibile e coltivavano un albero da frutto di ogni tipo. Un paradiso, per un bimbo di 4-5 anni.
Odiavo la scuola, e soprattutto odiavo alzarmi la mattina. Ricordo perfettamente la fatica nell’aprire gli occhi, con quella luce (una normale lampadina) accecante.
Penso a quelle mattine e mi viene in mente ancora il dodici novembre 2015: sveglio, pronto, vestito, profumato, deciso: stavo andando alla discussione della mia tesi
Come ho scritto, le elementari furono una passeggiata. Non perché fossi particolarmente bravo, anzi: spesso ritardavo nelle risposte alle domande e per imparare una poesia c’impiegavo l’impossibile. Poi notai una cosa: se le studiavo qualche giorno prima, era più facile ricordarle. Così iniziai a studiarle appena assegnate. Ma servì a poco, la mia maestra sapeva che ero un bravo ragazzo (al limite della bravura, probabilmente ben oltre il confine con la fessaggine) e mi segnava sempre dieci.
Il problema arrivò all’esame finale: fui interrogato da una maestra esterna e la pagellina riportò un misero “buono”. Pazienza, non capisce niente quella: 5 anni da primo o quasi primo sono comunque un successo.
Fu così che iniziarono le scuole medie. Analizzerò in dettaglio i periodi migliori e i peggiori più avanti, perché li ricordo benissimo e ci sono fatti che mi avrebbero permesso di evitare parecchi errori. Ognuno di noi ha avvisagli, consigli, anticipi di quella che sarà la vita. Il problema è che non vogliamo sentire. Siamo sordi. Soprattutto quando non abbiamo abbastanza fiducia in noi.


Semplice questa frase, al limite della banalità. La fiducia in sé stessi, la tanto agognata “autostima” è un po’ come l’uomo nero. Esiste o non esiste, ce l’hai o ce l’avrai, l’avevo ed è sfuggita, non l’ho mai avuta ma arriverà da grande. Balle, per no scrivere altro. La stessa ansia, le stesse paure trovano fondamento dalla poca o nulla autostima. Non sono bravo, non riesco a studiare, non ricordo, non “è portato” per questa o quella materia. La famiglia, le maestre, i professori, partecipano attivamente alla formazione della consapevolezza di sé stessi e di quello che possiamo essere nel mondo. Sono estremamente convinto che il bilancio delle proprie capacità sia ben più difficile da stilare di quello di una grande ditta.

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